Licenziabili le lavoratrici gestanti

La Corte di giustizia Ue smentisce le conclusioni dell’avvocato generale

Nessuna priorità per le lavoratrici gestanti in caso di licenziamento collettivo. L’allontanamento è possibile in presenza di avvenimenti eccezionali, nell’ipotesi in cui il licenziamento non sia connesso in alcun modo allo stato di gravidanza della dipendente, se il datore di lavoro fornisce per iscritto giustificati motivi di licenziamento e se lo stesso è consentito dalla legislazione o dalla prassi dello stato interessato.

È quanto deciso dalla Corte di giustizia europea in merito alla sentenza C-103/16. La Corte smentisce in questo modo le conclusioni a cui era giunto l’avvocato generale della Curia in merito alla stessa sentenza. La vicenda riguarda la società spagnola Bankia che, nel gennaio 2013, aveva avviato una fase di consultazione con i sindacati per procedere a un licenziamento collettivo. Nel novembre dello stesso anno la società ha notificato a una lavoratrice, all’epoca incinta, una lettera di licenziamento. La dipendente ha inoltrato ricorso contro il licenziamento, respinto dal tribunale del lavoro di Matarò, Spagna. La lavoratrice ha, quindi, proposto appello contro la sentenza e la Corte superiore di giustizia della Catalogna ha chiesto l’intervento della Corte per interpretare l’applicazione della direttiva 92/85 sulla sicurezza e la tutela delle lavoratrici gestanti. La direttiva stabilisce che il licenziamento delle dipendenti in gravidanza è vietato nel periodo compreso tra l’inizio della gravidanza e la fine del periodo di maternità, tranne in casi eccezionali non legati in nessun modo allo stato di gravidanza e ammessi dalle legislazioni nazionali.

Con la sentenza di ieri, la Corte dichiara che la direttiva non vieta alle norme nazionali di consentire il licenziamento della gestante nel caso di procedure di licenziamento collettivo. Come detto, l’allontanamento della dipendente non può avvenire per cause legate al suo stato e il datore di lavoro deve presentare per iscritto i motivi della scelta. Quindi, secondo la Corte, «i motivi non inerenti alla persona del lavoratore, che possono essere invocati nell’ambito dei licenziamenti collettivi (direttiva 98/59), rientrano nei casi eccezionali non connessi allo stato della lavoratrice ai sensi della direttiva 92/85».

Secondo quanto stabilito dalla sentenza il datore di lavoro, per operare il licenziamento della gestante, deve unicamente: esporre per iscritto i motivi non inerenti alla persona per i quali opera al licenziamento collettivo e indicare alla lavoratrice interessata i criteri oggettivi presi come riferimento per decidere quali lavoratori allontanare e quali no.

Tra i motivi non inerenti alla persona, rilevano in particolare motivazioni economiche, tecniche o relative all’organizzazione o ai processi produttivi dell’impresa. Un altro aspetto toccato dalla sentenza riguarda le tutele da destinare alle dipendenti nel caso in cui il licenziamento operato non sia legittimo. Secondo l’orientamento della Corte, gli stati membri non possono limitarsi a prevedere unicamente la nullità del licenziamento, se lo stesso è ingiustificato, come risarcimento nei confronti della dipendente.

Un ultimo aspetto toccato dalla Corte riguarda la possibilità per gli stati coinvolti di prevedere forme di priorità per il mantenimento del posto di lavoro per le lavoratrici in gravidanza. La sentenza, infatti, afferma che la direttiva 92/85 non vieta a una normativa nazionale di prevedere una priorità al mantenimento del posto di lavoro per le dipendenti gestanti, puerpere o in allattamento. La stessa direttiva non obbliga ad apporre priorità del genere ma ne lascia aperta la possibilità.

Articolo tratto da Italia Oggi del 23.02.2018