Sentenza che ribadisce il ruolo dei volontari nei confronti degli adempimenti relativi alla sicurezza sul lavoro.
Condannato per il reato di lesioni colpose aggravate dalla violazione della normativa antinfortunistica nei confronti della titolare di un rifugio amatoriale per cani, a causa delle ferite inferte da un pitbull a una collaboratrice volontaria, aggredita dall’animale.
La sentenza Cass. Pen., Sez. IV, 2 luglio 2024, n. 25756, si sofferma sul tema dell’individuazione della posizione di garanzia in capo al titolare di un canile privato per le lesioni riportate da un collaboratore della struttura, inquadrato come “volontario”.
Massima
In tema di sicurezza nei luoghi di lavoro, in ragione del ruolo dirigenziale svolto rispetto alle attività svolte all’interno di un rifugio per cani, il titolare del canile assume una posizione di garanzia nei confronti di chi presti, anche occasionalmente e su base volontaria, il proprio lavoro al suo interno, rispondendo pertanto delle eventuali lesioni personali cagionate dall’omessa adozione delle misure necessarie a prevenire gli infortuni sul lavoro, atteso che l’approntamento di misure di sicurezza (e quindi il rispetto delle norme antinfortunistiche) esula dalla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, essendo stata riconosciuta la tutela anche in fattispecie di lavoro prestato per amicizia, per riconoscenza o comunque in situazione diversa dalla prestazione del lavoratore subordinato, purché detta prestazione sia stata effettuata in un ambiente che possa definirsi “di lavoro”, qual è sicuramente un canile.
Sintesi
Con la sentenza Cass. Pen., Sez. IV, 2 luglio 2024, n. 25756, la S.C. si sofferma sul tema dell’individuazione della posizione di garanzia in capo al titolare di un canile privato per le lesioni riportate da un collaboratore della struttura, inquadrato come “volontario”. La Cassazione, in particolare, in una fattispecie nella quale era stata ascritta alla titolare di un rifugio per cani di aver omesso di provvedere affinché i volontari operanti presso tale struttura ricevessero un’adeguata formazione e informazione in merito ai prevedibili rischi connessi allo svolgimento quotidiano dei servizi di cura e accudimento dei cani, ha disatteso la tesi difensiva (secondo cui non esisteva alcuna posizione di garanzia), in quanto vi era un’organizzazione, donde l’esistenza di obblighi datoriali di formare i collaboratori volontari sullo svolgimento in sicurezza delle attività operative, provvedendo altresì a individuare ed eliminare, per quanto possibile, o comunque ridurre i rischi inerenti all’attività svolta, nonché a fornire ai predetti volontari dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti negli ambienti nei quali sono chiamati a operare e ad adottare le misure di prevenzione e di emergenza in relazione alle rispettive attività.
Fatto
La vicenda processuale segue, come anticipato, alla sentenza con cui la Corte di appello aveva confermato la pronuncia emessa dal Tribunale che aveva dichiarato il gestore di fatto di un rifugio amatoriale per cani, realizzato su terreno di sua proprietà, colpevole del reato di lesioni personali gravi, aggravato dalla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Si rimproverava di avere omesso di provvedere affinché i volontari operanti presso la struttura ricevessero un’adeguata formazione e informazione in merito ai prevedibili rischi connessi allo svolgimento quotidiano dei servizi di cura e accudimento dei cani – in particolare, di quelli rivelatisi maggiormente aggressivi e, dunque, pericolosi per l’integrità fisica dei volontari, come il cane pitbull maschio che aveva aggredito una collaboratrice volontaria del canile, nonché di avere omesso di dotare la struttura degli idonei dispositivi di protezione individuale. Accadeva così che, una mattina del mese di agosto, mentre era intenta a trasferire il predetto pitbull dalla gabbia al recinto di sgambamento, la vittima venisse ferocemente aggredita dal cane che le provocava il maciullamento dell’arto superiore sinistro e una ferita profonda all’arto superiore destro.
Ricorso
Contro la sentenza proponeva ricorso per cassazione la difesa della titolare del rifugio per cani, sostenendone, per quanto qui di interesse, l’erroneità poiché il caso non sarebbe rientrato nella normativa di cui al D.Lgs. n. 81/2008. La persona offesa, peraltro, aveva commesso l’imprudenza di far uscire, di propria iniziativa, il pitbull, che in precedenza aveva già dato dimostrazione di mordacità pericolosa, dalla gabbia in cui la proprietaria l’aveva prudenzialmente rinchiuso, contravvenendo alle prescrizioni che le erano state rivolte. Nessuna posizione di garanzia era stata peraltro assunta dall’imputata ai sensi dell’ art. 299 D.Lgs. n. 81/2008, non avendo la stessa ricoperto alcun potere riconducibile a quello di un datore di lavoro o di un dirigente di fatto. Il terreno di proprietà dell’imputata non sarebbe nemmeno inquadrabile nella definizione di “ambiente di lavoro” né esisteva alcuna organizzazione di lavoro perché erano tutti i volontari insieme a gestire la struttura.
Sentenza e motivazioni
La Cassazione, nell’affermare il principio di cui in massima, ha disatteso la tesi difensiva, in particolare sottolineando come correttamente la Corte di appello aveva osservato che qualora, come nel caso di specie, si versi nell’ambito di un’organizzazione, il datore di lavoro è tenuto a formare i collaboratori volontari sullo svolgimento in sicurezza delle attività operative, provvedendo altresì a individuare ed eliminare, per quanto possibile, o comunque ridurre i rischi inerenti all’attività svolta, nonché a fornire ai predetti volontari dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti negli ambienti nei quali sono chiamati a operare e ad adottare le misure di prevenzione e di emergenza in relazione alle rispettive attività. Aveva rilevato poi come, nella vicenda in esame, non fosse stato assolto alcun obbligo di formazione e informazione e come fossero assenti dispositivi di protezione individuale o di sicurezza, soprattutto in riferimento ai cani più pericolosi.
Precedenti giurisprudenziali
Quanto ai precedenti giurisprudenziali, il principio di diritto affermato dalla Cassazione riveste senza dubbio particolare importanza, soprattutto perché fornisce degli utili spunti esegetici al fine di individuare l’ambito della posizione di garanzia datoriale rispetto alle attività dei cosiddetti volontari.
In particolare, pacifico è in giurisprudenza ( Cass. Pen., Sez. IV, 16 gennaio 2008, n. 7730, M., CED Cass. 238756) come l’approntamento di misure di sicurezza e, quindi, il rispetto delle norme antinfortunistiche esula, invero, dalla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, essendo stata riconosciuta la tutela anche in fattispecie di lavoro prestato per amicizia, per riconoscenza o comunque in situazione diversa dalla prestazione del lavoratore subordinato, purché detta prestazione sia stata effettuata in un ambiente che possa definirsi “di lavoro”. E ciò conformemente alla definizione del datore di lavoro, come il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa (o dell’unità produttiva), in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa (cfr. art. 2, lett. b, D.Lgs. n. 81/2008). Sulla posizione di garanzia assunta nei confronti dei “volontari”, ad esempio, la giurisprudenza ha affermato che, poiché il parroco ha la direzione delle attività della parrocchia, egli assume una posizione di garanzia nei confronti di chi presti, anche occasionalmente e su base volontaria, il proprio lavoro al suo interno, rispondendo pertanto delle eventuali lesioni personali cagionate dall’omessa adozione delle misure necessarie a prevenire gli infortuni sul lavoro ( Cass. Pen., Sez. IV, 16 gennaio 2008, n. 7730, CED Cass. 238756 – 01).
Il testo dell'articolo è stato redatto da Alessio Scarcella.